Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/2122/2549
Authors: Castelli, V.* 
Camassi, R.* 
Title: A che santo votarsi. L’influsso dei grandi terremoti del 1703 sulla cultura popolare
Issue Date: 2004
Keywords: Earthquake
1703
Subject Classification05. General::05.09. Miscellaneous::05.09.99. General or miscellaneous 
Abstract: La paura e il suo contraltare, la ricerca di rassicurazione e protezione, sono all’origine delle più svariate manifestazioni umane: riti, feste, interdetti, comportamenti pubblici e privati, molto insomma di quanto si riassume nell’espressione generica “le mentalità”1. Questo saggio è un primo abbozzo di storia delle risposte a una paura specifica: quella suscitata dai grandi terremoti del 1703, la maggior catastrofe sismica che abbia colpito l’Italia centrale in età moderna. Il suo scopo è cercare di capire se le risposte alla paura del 1703 siano rientrate nella norma di un contesto di modelli di comportamento consolidati nel tempo o se vi abbiano introdotto degli elementi di novità: come e quanto, insomma, i terremoti del 1703 abbiano influito sulla cultura popolare. Usiamo l’espressione “cultura popolare” in senso antropologico, intendendo per “cultura” l’insieme dei valori e modalità di giudizio, percezione ed espressione che dà forma e colore a un dato ambito sociale e dando all’aggettivo “popolare” l’accezione di “comune a una vasta maggioranza”. Siamo a un crocevia tra più discipline: il tema è dell’antropologia storica, i metodi sono storici e a far da sottofondo c’è una lunga consuetudine di lavoro nel campo della sismologia storica2, senza la quale questo saggio non sarebbe mai stato neanche pensato. Il soggetto è vasto, elevato il rischio di ripetere cose note ai lettori o magari ricordate in altri saggi presenti in questo volume: confidiamo nell’indulgenza dei lettori per un testo che in fondo vuole essere solo la messa a punto di una serie di problemi e spunti di ricerca, ciascuno meritevole di trattazione più estesa e approfondita di quanto non sia possibile entro i limiti di questo saggio e che proponiamo ai colleghi ricercatori come degno soggetto di un’indagine storica in larga misura ancora da fare.
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